mercoledì 23 novembre 2011

Un'altra giovinezza

Recensione da www.cinemalia.it scritta da Ilaria Mutti

E’ proprio il caso di dirlo: è iniziata la seconda giovinezza di Francis Ford Coppola. Un film autofinanziato, indipendente e quindi a “basso costo” ma che sa sprigionare tutta la libertà creativa del grande autore.
“La storia mi riguardava da vicino. Come il suo personaggio principale Domenic, ero torturato e bloccato dalla mia incapacità di portare a termine un lavoro importante. A 66 anni, mi sentivo frustrato: da otto anni non facevo un film; anche se le mie aziende andavano a gonfie vele”.
Ecco in sintesi come spiega la scelta di questo film Coppola, mentre la sala stampa si riempie di mani alzate pronte a fargli domande.
Francis risponde in modo scherzoso e accattivante: “ora posso fare i film che avrei voluto fare da giovane”; poi quando gli viene chiesto se lui potrebbe di nuovo girare Apocalypse Now, la risposta è secca “Quando l’ho girato ero giovane e ignorante, ora non sono più né giovane, né ignorante”.
Un’altra giovinezza è al tempo stesso una intensa storia d’amore, un thriller politico e una appassionata indagine filosofica. Ambientato principalmente in Romania e in Svizzera tra il 1938 e il 1956, il film mescola l’avventura di un uomo in fuga con una riflessione su tempo e coscienza, e sul ruolo del linguaggio nello sviluppo di entrambi.
Tratto da un racconto di Mircea Eliade, scrittore prolifico e autorevole storico delle religioni, Un’altra giovinezza è interpretato da Tim Roth, Alexandra Maria Lara, Bruno Ganz e, per la prima volta sul grande schermo, Alexandra Pirici (coreografa e danzatrice).
Roth afferma “E’ un’avventura, lavorare con Francis. Ti presenti sul set dopo che hai imparato i dialoghi e studiato la scena, e trovi la stanza sotto sopra, con gli specchi sul soffitto.
Non ha paura di niente: arriva con le idee più incredibili, come niente fosse, e questo ti dà la carica.”
Quando era ancora un aspirante attore, a Londra, Roth ammirava “il padrino” e gli ha scritto alcune lettere. “Mi piacciono i suoi film, e se dovesse servirle un attore inglese, io sono qua.”
Ma da quando si è trasferito in America, Roth ha avuto un solo incontro professionale con Coppola, nel 2005 - un colloquio per il ruolo di William Burroughs nel film di Walter Salles, On the Road. Durante quel colloquio, Coppola (produttore del film) ha tirato fuori una di quelle lettere, che aveva conservato.
“Me l’ha fatta vedere, ma poi se l’è tenuta” ricorda Roth, un po’ contrariato.
Quando poco tempo dopo Roth ha trovato un messaggio di Coppola sulla sua segreteria telefonica, non riusciva a crederci. “Io ero in Italia che lavoravo a un film e credevo che un amico mi avesse fatto uno scherzo. Alla fine, però, ho chiamato il numero del messaggio. Ha risposto Ellie e mi ha detto che Francis era sotto la doccia ma che mi avrebbe richiamato. A questo punto ero ancora più convinto che si trattasse di uno scherzo anche se ben orchestrato. Invece poi mi ha mandato la sceneggiatura e mi è venuto trovare a Siena.” Durante tutte le riprese del film Roth non si è mai accorto di interpretare una specie di surrogato di Coppola. “Lui non parlava di sé o della crisi artistica che lo aveva portato ad affrontare quei temi. Era molto franco e diretto quando ti spiegava che cosa voleva, ma sembrava convinto di stare seguendo il libro.”
Il lavoro è cominciato con lunghe prove che prevedevano anche parti dedicate all’improvvisazione. Ricorda che Coppola gli suggeriva di pensare ad Alec Guinness, proprio per cercare di avvicinarsi a un personaggio forte interiormente. Poiché Dominic, nel film, attraversa un po’ tutte le età della vita – dai 26 ai 101 anni - Roth ha dovuto sottoporsi a lunghe sedute al trucco. “Sono stati fatti calchi della testa, foto di calchi a figura intera su computer. Quei ragazzi, i parrucchieri e truccatori Peter King e Jeremy Woodhead, hanno trovato soluzioni fantastiche, hanno cercato di fare in modo che il vero ‘me’ non scomparisse del tutto.”
Nel complesso, Roth definisce l’esperienza delle riprese di Un’altra giovinezza difficile ma stimolante. “Mi ha fatto riscoprire la voglia di recitare. Francis adora i suoi attori e li lascia estremamente liberi. Se hai fatto i compiti a casa e sei pronto a dargli un personaggio a tre dimensioni, lui ti lascia fare. A volte parlava a noi attori mentre la macchina da presa continuava a girare. Mi piaceva. A volte, invece, recitava lui le altre parti, fuori campo. C’era una grande complicità, un bel gioco di squadra.”
Anche Alexandra Maria Lara è stata contattata direttamente da Coppola. “Mi ha scritto una lettera meravigliosa e mi ha spedito il copione, poi ci siamo incontrati a Londra” ricorda lei. “Come attrice, mi è piaciuto poter imparare cose nuove. Lavorare con un uomo che ha fatto tanti film straordinari è una sensazione incredibile, anche se lui ti fa dimenticare molto presto di essere un mito.”
Tra le “cose nuove” con cui la giovane attrice ha dovuto misurarsi, ci sono diverse lingue straniere, sanscrito, egiziano, antico babilonese. Sul set sono stati convocati alcuni tutor, cosiddetti “indologi”, per insegnare a lei, a Roth e agli altri attori il suono della lingua, le pronunce corrette. “E’ stato molto difficile e a volte anche stressante”, confessa l’attrice, che elogia Roth come “un partner sempre molto disponibile e con un forte carisma”.
Inizialmente, Coppola non sapeva che avrebbe offerto tre ruoli diversi alla stessa attrice e in un secondo tempo ha dovuto riscrivere alcune parti della sceneggiatura. Ma il talento di Lara lo ha talmente colpito che era sicuro che ce l’avrebbe fatta, e che questa scelta avrebbe contribuito a chiarire meglio il tema della reincarnazione. “Ho capito subito che con Alexandra avevo trovato un vero tesoro”, dichiara il regista. “Inoltre, mi commuoveva il fatto che quando il vecchio muore, pensasse ancora alla sua Laura. Gli uomini, nella loro vita, amano sempre la stessa donna, anche se quella donna può incarnarsi in persone diverse. In un certo senso, tutte le donne a cui vuoi bene sono una sola, la stessa. Per questo ho deciso di affidare i tre ruoli a un’unica attrice. Ed è stato il talento di Alexandra, a convincermi a farlo.”
Il film è stato girato in Romania, con una troupe prevalentemente locale.
Nel febbraio del 2005 Francis Coppola è andato in Romania per capire se fosse il posto adatto per girare Un’altra giovinezza. Potenzialmente, lo era perché l’autore del racconto da cui è tratto, Mircea Eliade, è uno dei maggiori scrittori di quel paese e la storia comincia e finisce lì. Coppola era accompagnato dalla nipote adolescente, Gia. Insieme, hanno tracciato una mappa dei veri posti nominati nel libro e hanno cominciato a fare i turisti, “divertendosi un sacco”, come confessa il regista. Le riprese sono iniziate nell’ottobre dello stesso anno e sono durate 84 giorni.
La troupe ha girato in luoghi diversi, ma le due location principali sono state Piatra Neamt e la clinica di Ana Aslan, a Bucarest. Nella storia, Piatra Neamt è l’amatissima città natale del protagonista, Dominic. Situata in una delle più antiche e disabitate zone rurali, Piatra Neamt è una cittadina pittoresca circondata da laghi e montagne.
Ma Youth without youth non è solo un film di paesaggi e dialoghi, ma anche un film pieno di potenti simboli visuali che oltre ad essere funzionali alla trama servono ad approfondirne i temi filosofici. Il primo è il fulmine che rappresenta un messaggio che proviene da una dimensione superiore, dall’aldilà. “E’ misterioso e divino,
potente e spaventoso” è come la mano di Dio che ferma la missione suicida di Dominic , e Dominic deve vivere, non morire.
Ed è questo simbolo che mette in moto la vicenda, innescando la rigenerazione e il ringiovanimento di Dominic.
Un altro simbolo importante del film è la rosa.
Ci sono tre rose nel film: due sono usate dal Doppio di Dominic per dimostrare che è reale, che non è un fantasma o una creazione della fantasia; la terza rosa assume un significato più profondo, quello di uno stato di grazia. Spiega Coppola: “Volevo esprimere l’idea che Dominic muore pacificato. Lui amava quella ragazza e ha sacrificato il lavoro di una vita, per lei. Se hai amato e sei stato amato, allora morirai in stato di grazia.”
E proprio nel doppio si incentra un altro elemento portante del film. Rappresenta una scissione nella natura di Dominic, tra lo scienziato che cerca una spiegazione per tutto, la parte fredda , e l’uomo che incontra una donna e vuole continuare a vivere, vuole amarla, la parte calda.”
Per Coppola, il doppio ha una utilità sia filosofica che cinematografica. “E’ un modo stupendo per rappresentare la consapevolezza interiore e la coscienza di sé. Gli esseri umani possiedono una coscienza multidimensionale”, continua il regista. “I problemi legati al dualismo sono molto collegati alle religioni dell’India.”
Non si può dimenticare un’altra tematica che si pone al centro della storia e cioè quella della reincarnazione, anche detta “rinascita” o “trasmigrazione”. “C’è una differenza fondamentale tra il modo orientale e quello occidentale di interpretare la vita”, spiega Coppola. “Il filosofo indiano non è confuso quando parla di passato, presente e futuro. La reincarnazione è parte integrante della loro filosofia, e chi la studia acquisisce una visione più ampia di cosa sia l’esistenza, o di cosa siano i sogni… Per quanto mi riguarda, credo che dovremmo imparare a distinguere il sopra dal sotto, o il bene dal male, per poter funzionare nel mondo reale. Non è difficile capire che quello che noi occidentali intendiamo per ‘mondo reale’ è una specie di aiuto per poter negoziare le nostre vite. Ma la vera esistenza non è questo, una volta che hai capito l’idea del dualismo.”
Francis non nega di aver fatto un film complesso e impegnativo per gli spettatori, ma spera che la visione iniziale sia abbastanza avvincente da incoraggiarne una seconda... o una terza, come è successo con Apocalypse Now. “Ho imparato molto da Mircea Eliade, semplicemente ripercorrendo le sue orme”, spiega. “Ho sempre pensato che se stai lavorando a un film che affronta temi di cui vorresti sapere di più, il solo fatto di realizzarlo ti garantisce che imparerai qualcosa.
Quando ho letto la storia, sapevo che se avessi fatto il film avrei imparato a esprimere il tempo e i sogni nel linguaggio del cinema. Fare un film è come fare una domanda, e quando hai finito, la risposta è il film.”
Insomma in definitiva il film di Coppola è da vedere e rivedere, leggere tra le righe ed emozionarsi per la bellezza delle immagini… poi dimenticarsi di tutto ciò che si è visto e analizzato per lasciarsi emozionare e percepire la straordinaria capacità di comunicazione di questo film.

Ho riportato questa recensione perché l'ho trovata davvero esauriente, scritta molto bene e spero che non dispiaccia all'autrice essere citata, anche se non ho chiesto il permesso… Io non potevo scrivere niente di meglio, ma voglio aggiungere ai miei 4 lettori che ve lo consiglio e che io lo riguarderò al più presto, per capire meglio alcuni particolari che mi sono sfuggiti alla prima visione…

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